lunedì, aprile 23, 2007

sabato, aprile 21, 2007

VOGLIO LA CASA SULL'ALBERO



La vita mi ha portato a cambiare nella mia breve vita tante case. Ho cambiato abitazione sia seguendo la famiglia sia seguendo me stesso. Ne ho visto parecchie e le ricordo tutte con piacere, anche se una in particolare probabilmente rimane la mia preferita. La casa russia, la casa dove ho vissuto il periodo più lungo fino ad adesso.
Era un appartamento al quarto piano con le pareti color porpora in corridoio e un verde smeraldo nelle stanze. Era proprietà del sacro e sovrano ordine altissimo dei Cavalieri di Malta, quindi al momento della nostra occupazione era pieno di cavalieri in miniatura fatti in bronzo e altri metalli. Ne avevamo di tutti i tipi, a cavallo, in posa da combattimento, in parata e così via. Nel tempo, cadendo le punte delle spade e delle lance si rovinarono tutte, qualcuno perse anche un braccio se non sbaglio. Una guerra. Ora ne rimane uno solo, quello a cavallo, il più bello. Sta caricando e ha la lancia protesa in avanti, sulla punta dell'arma mia madre appende le chiavi.
Ma torniamo a casa russia, la prima. Era la tipica casa russa, di quelle che trovi solo in Russia. Un lungo corridoio con le stanze su entrambi i lati. Ogni muro, ogni superficie è occupata da mensole con libri e tante cianfrusaglie. I libri sono ovunque, probabilmente c’è una mensola anche in bagno. Lo spazio vitale è ridotto al limite, ogni centimetro disponibile è per delle cose. Cose che servono o magari serviranno un giorno, o semplicemente cose che sono servite e non servono più, addirittura la luce riesce con fatica a riempire lo spazio per tutto l’ingombro che c’è . La mia stanza era, per ovvie ragioni, la più scomoda e angusta di tutto il vasto appartamento. Era ricavata da un angolo adiacente la tromba delle scale e la porta d'ingresso. In sostanza l'ingresso era diviso dal corridoio da un sottile separee in vetro ondulato e montatura di legno verniciato a bianco panna. Si affacciava sul cortile interno e almeno, essendo il penultimo piano, arrivava almeno un po’ di luce. Il colore delle pareti era lo stesso bordò del corridoio ma venne presto cambiato in un bianco. La stanza si presentava più o meno così:

Per anni la mia psiche si è modellata a misura di quella stanza. Quando stavo sdraiato nel letto guardando il soffitto, la sua forma mi sembrava perfettamente rettangolare, mentre la mia testa ne prendeva sempre più la somiglianza. La mia concezione della realtà divenne probabilmente lì profondamente distorta. A volte con le pareti bianche e il vetro ondulato (tipo vedo ma non vedo) mi facevano sembrare quel vano una cella di qualche istituto.
La stanza successiva dove ho abitato era molto più grande ed era perfettamente rettangolare. Il bianco delle pareti venne presto cambiato (per la decisione di chi rimane per me tuttora un mistero) in un verde fosforescente tipo il colore delle lettere che leggete. Quando al mattino entravano i raggi del sole, le pareti si illuminavano come un semaforo, vivevo in una casa di kriptonite. Nell'appartamento accanto abitava un tipo poco più piccolo di me, non ci siamo mai filati. Il suo cognome era Gaiofatto, ma ironia della sorte era un lucidone mentre io incominciavo proprio in quegli anni ad abbandonare definitivamente la mia di lucidità.
Ne ho viste altre di case. Ho condiviso stanze con amici e occupato camerette di lesbiche con le pareti piene di foto di donnine nude. Mi sono trovato spesso nella situazione di dover cercare casa. E’ una cosa stressantissima, chiami ma non ti rispondono, l’orario delle visite non combacia col lavoro, non sei abbastanza cool, no perché sei maschio, no è basta, troppo lontano o troppo caro, no fumatori, no extracomunitari ecc. Non è come quando la casa la compri e la scegli per bene, in questo caso sono loro che ti scelgono e tu speri solo il meglio. E’ una cosa imbarazzante e anche fastidiosa. Per non parlare che devi essere con mille occhi perché i pacchi sono frequenti.
Dopo più di un anno che vivo in questa casa, mi trovo all’improvviso coinvolto in una ricerca del terzo compare per la stanza liberata. Sono passato dall’altra parte della barricata, ora sono io che ho in mano la sorte di chi, come me una volta, viene alla ricerca di un posto nel mondo.
A vedere la stanza è arrivato un fiume di persone. Di tutte le razze, studenti, lavoratori, inventori, cercatori di fortuna. La stanza in questione è la più piccola ed è rimediata da un vecchio sgabuzzino, le misure sono all’incirca di tre metri per tre, si presenta più o meno così:
Qualcuno vedendola non è riuscito a trattenere un sincero riso. Altri, quelli più disperati, sono stati capaci di tentate corruzioni e ruffianerie di ogni genere. Il mercato offre attualmente, un buon traffico di ragazze dell’est, anche le droghe sono frequenti, ti offrono favori, cercano di ingraziarti con altolocate conoscenze.
Martedì, al momento di staccare dal lavoro (erano le due passate), ho trovato sul cellulare qualcosa come centocinquanta chiamate perse. Tutti, me compreso, vogliono chiarimenti, ma la scelta è difficile.

gioia e rivoluzione #3

mercoledì, aprile 18, 2007




Sono stato sempre un grande amante del dolce dormire. Mi piace dormire a lungo e fare sogni. Ne faccio molti ma difficilmente riesco a ricordarli. Inoltre sogno sempre delle cose pittosto interessanti, la sensazione al risveglio è sempre quella, ma ogni volta che il pensiero di scriverle mi passa per la mente, bastano 3 metri verso la scrivania per spazzare ogni ricordo.
Per capire la faccenda bisogna considerare anche la mia vita sregolata. Tante volte il riposo notturno non è solo per "dormire" quanto per smaltire. Immaginatevi uno in coma, dorme però mica perchè ha sonno, sò tre mesi che dorme.
Ecco, io però sono in una fase della mi vita in cui sto sperimentando nuove sfere della vita percettiva. Quella del lucidone. Ammetto che non mi viene troppo facile. Ogni tanto, ma sempre per mano altrui, cado nella tentazione, ma seza rimorsi.
Uno dei benefici è stato proprio quello di aumentare le mie capacità oniriche ma haimè ha aumentato notevolmente la mia sensibilità alla luce e al rumore di Vaiale Mrconi. Sono mesi che dormo mica tanto bene, mi sveglio di frequente ma faccio un casino di sogni. Certi sono diventati una saga, faccio i sequel e anche i remake. Ho perfezionato addirittura la vista a 360 gradi.
La notte appena trascorsa ho dormito come un sasso. Per quattro ore, ma è stato un calvario.
Ho fatto una serie infinita di mini sogni (mini orrori) in cui venivo sempre accusato e castigato ingiustamente per qualche presunta malefatta da me anche solo premeditata. Sempre uguali, come le puntate di Mac Gyver e Perry Mason. Alla fine di ognuno mi svegliavo tutto infreddolito e mi rendevo conto che era solamente l'episodio successivo e io ero sempre il castigato. In uno di questi c'era mio padre che mi accusava di non so quale truffa ai suoi danni, pareva che gli avesi sottratto una sostanziosa cifra dal conto in banca. Tutte le prove erano contro di me, io sapevo di essere innocente ma ripensavo a tutte le volte che gli ho sfilato dalle biglietti da 10 mila lire e umiliato porgevo il collo al boia.
Per fortuna qualcosa di rumoroso mi sveglia, Lungo si è alzato per andare al lavoro. Mi alzo e vado a fare colazione con il mio vecchio compagno. La settimana scorsa ci sarebbe stato anche Taglia46, ma per ora siamo in due e il terzo ancora non c'è. Erano mesi che non vedevo Lungo con la luce del sole, sembra ancora più alto.
Dopodichè sono uscito a fare la spesa. Erano le 09.00 di mattina e io avevo compiuto già ben due prodigi nonostante fossi stremato dal sonno, volevo evitare a tutti i costi di tornare a dormire, sarebbe ricominciato tutto. E cosi è stato.
Sono tornato a casa e mi sono buttato davanti al pc, inutile dire che ben presto mi sono ributtato nel letto facendo un grande errore. Ho ricominciato a sognare, lo stesso selefilm di prima, la stessa angoscia, le stesse accuse senza senso, svegliandomi continuamente da un sogno all'altro. Consapevole nel sogno prego in un qualcosa che mi svegli veramente (o mi anestetizzi). Squilla il telefonino, speriamo sia il pusher. No, è mio padre.
La telefonata è breve e non basta a tenermi sveglio, anzi. E ricomincia tutto, dal punto interrotto. Sono disperato, voglio svegliarmi, quando il telefonino squilla di nuovo. E' il pusher.
Sono le 13.30, più o meno l'ora in cui mi alzo ultimamente. Ho calcolato che, mettendo in relazione la media nazionale dell'ora del risveglio e la mia usciva una differenza di 8 ore, ovvero il fuso orario che c'è tra Roma e Caracas.
Oggi ho compiuto quattro prodigi: 1) mi sono alzato alle 07.30; 2) ho fatto la spesa; (3) non se pò dì; 4) ho cambiato il fuso orario sul blog.
Ora sto ai Caraibi.

lunedì, aprile 16, 2007

giovedì, aprile 12, 2007

ANCHE I FILIPPINI PIANGONO


Al lavoro, cioè il posto dove mi guadagno da vivere, ho un collega che è quasi un paesano. Dico quasi perché viene dall’Ucraina. Ha circa la mia età e immagino una vita comunque simile alla mia. Di fatto questo non lo posso sapere, mi piace comunque pensare che sia così. Questo però, a differenza del sottoscritto ha un carattere più schivo, molto più chiuso e diffidente. Non ha avuto modo (ma penso neanche la flessibilità e la pazienza necessaria) per potersi integrare nel posto di lavoro, al punto che lui vorrebbe andarsene e i boss lo vorrebbero mandare via. Ma c’è carenza di personale e lui è bravo quindi non se ne fa niente. Comunque stavo parlando degli ucraini. Si dice: una faccia una razza? Ecco, noi lo siamo ancora di più. Lui parla perfettamente la mia lingua nativa e la sua è differente dalla mia, di sicuro meno di quanto lo sia il fiorentino con il romano, tanto per intenderci. Dopo la caduta del muro, molti di loro hanno rivendicato un patriottismo per secoli soppresso, una mancanza che ci ha fatto così simili quasi da non distinguerci. Molti di loro, come me del resto (quando a mio piacimento mi rivelo russo o italiano) non rivelano neanche la loro origine geopolitica reale e si presentano come russi, russi e basta. Tutti sanno dove sia la Russia, non tutti sanno deve sia l’Ucraina o quale sia la sua capitale.Insomma ci siamo trovati a parlare, soprattutto in russo e sul lavoro anche. Una lingua sconosciuta a molti per comunicazioni di servizio è utilissima, e mi sono accorto di come la cosa abbia provocato non tanto stupore quanto un certo timore nei presenti, forse di chissà quale complotto.
Allora mi è venuto in mente un mio compagno delle superiori. Questo invece è filippino. Vi ricordate che una decina di anni fa, quando romeni e africani ancora non si vedevano e i polacchi e gli albanesi erano già andati via, v’erano i filippini. Questi erano ben tollerati, poiché lavoravano sodo e chiedevano poco, ma soprattutto si mettevano quegli occhiali spaziali che solo loro riuscivano a trovare. All’epoca erano rinomati come ottimi domestici e scrupolosi badanti, sapevano cucinare e sopportavano qualsivoglia capriccio di qualsiasi vecchio bisbetico. Non rubavano e sapevano fare degli involtini primavera che erano la fine del mondo, non si lamentavano mai. Insomma, uno dei figli di queste domestiche frequentava la mia stessa classe, era l’unico straniero oltre a me e anche con lui c’era quel legame strettissimo basato non solo su una sincera amicizia ma soprattutto su una reciproca complicità di due emarginati. Si chiamava Valentin Batu (chissà se anche lui leggerà mai queste righe). Insomma, Valentin era un bel tipo, tutto d’un pezzo, alto e robusto per la media dei suoi paesani, ottimo studente e campione di non mi ricordo quale lotta del suo liceo di Manila, cosa che lo rendeva una macchina da guerra indistruttibile, se non fosse che era un ragazzo serio, gentilissimo e pacioccoso. Gli volevo molto bene, gliene voglio tuttora.
Un giorno, uno sconsiderato compagno di classe ebbe la malaugurata idea di beffarsi della sua (diciamo così) posizione sociale. La battuta che fece non la ricordo perfettamente ma suonava più o meno così: MA QUANDO VIENE TUA MADRE A PULIRMI LA CASA? Qualcuno rise, io no. Quel giorno si chiuse dentro se stesso e non parlo con nessuno, neanche con me, pianse in silenzio con il viso nascosto tra le mani. La cosa mi ferì, forse anche quanto ferì lui, mi dispiaceva non riuscire a dargli il mio conforto ma sapevo che era inutile. Il dado era tratto. Stava covando dentro di sé il suo istinto vendicativo, si stava trasformando in una macchina da guerra indistruttibile. Alla fine delle lezioni, fuori dall'istituto, fece saltare 4 denti al tipo con un calcio roteante spaziale. La cosa curiosa è che il “simpaticone” divenne presto suo amico e anche mio, almeno per la durata degli anni trascorsi all’istituto professionale Edmondo De Amicis.

Non voglio scrivere il post su come è dura essere piccolo e nero come Calimero, non mi si confà piangermi addosso e poi da adolescente me ne preoccupavo molto meno della mia presunta integrazione e su quella di tanti altri con la sorte simile alla mia. Certe cose non le capivo, forse per ingenuità. Sta di fatto che sì ho sofferto un po’ ma neanche più di tanto e so di gente che ha patito molto più di me, di Valentin e di tanti altri. Ma fermentava qualcosa anche dentro di me, covavo il mio disprezzo verso le istituzioni, perché erano quelle che ai miei occhi erano la causa di tutto quell’odio, la causa dei confini e della divisione del mondo, che erano la causa delle guerre, delle invidie, della paura, dei sotterfugi, e si può continuare all’infinito. Ecco i confini, gli stati, sono quello che ho rinnegato sempre più nella mia vita. Ero russo, ma se lo dicevo non ci credevano, se dicevo di essere italiano non mi credevano lo stesso. Ora rimango russo e mi sento cittadino (brutta pure questa di parola) del mondo, a sentire gli altri sono calabrese o siciliano e forse a breve (per breve intendo un tempo non ben definito che può essere anche di anni) dovrei prendere la cittadinanza italiana. E la cosa mi fa ridere, e anche tanto. Vorrei strillare al mondo: MA QUALE CITTADINANZA ITALIANA, SEMMAI VOGLIO QUELLA ROMANA!
So di non essere l’unico a pensare che siamo tutti uguali, ma sicuramente sono tra i pochi che sono convinti, che poiché siamo tutti uguali con quale diritto ci impediscono di andare dove vogliamo? Si son fatte delle linee immaginarie che non possiamo oltrepassare, come quando da piccolo al parchetto vicino casa a Ostia si giocava all’Uomo Nero (che è un po’ come 1 2 3 Stella). Nella rete per un periodo ho trovato uno spiraglio di salvezza. Nessun confine, nessun padrone, fuori controllo. Non ero più semplicemente l’uomo nero, ero diventato Toro Seduto nelle verdi praterie virtuali. Ma anche la sono presto arrivati gli Yankee, hanno chiuso Napster, Morpheus, Winmx, anche il caro Er-mule sta per fare la stessa sorte.
Anche Taglia46, che è calabrese per davvero, va a vivere altrove per motivi di lavoro. Anche lui, immigrante nel suo stesso paese. Un pezzo fondamentale di questa casa e di quest’anno e mezzo che ci ho trascorso assieme. Voglio bene anche a lui, e come all’epoca delle superiori, mi dispiacerebbe immaginarlo in una nuova città a combattere o addirittura nascondere l’evidenza e maledire chi la fa notare, il fatto di essere un “terrone”!

Io alla fine ci rido sopra e lo fa anche lui per fortuna e poi hanno tolto la tassazione dalle ricariche dei cellulari e la speranza è l’ultima a morire.

Un bacio a tutti dal pianeta Saturno.




mercoledì, aprile 11, 2007

#3 gioia e rivoluzione


Che cosa v'è di piu adatto a esasperare un malato di gioia se non il volerlo guarire?



martedì, aprile 10, 2007

IL BALLO DI SOFIA #2


Mi ammagliava con i suoi sorrisi.
Tanto che a volte pensavo che un demone l'avesse accoltellata alle spalle o un amante nascosto sotto la gonna le baciasse le natiche.




sabato, aprile 07, 2007

RASHOMON

L’autista
Quella sera tornò a casa sconvolto. La moglie era gia sveglia, attaccava all’alba, il lavoro dell’infermiera era stato sempre così con turni imprevedibili, come quello dell’autista d'altronde.
Invece di andare a dormire le diede un bacio e le raccontò con voce tremante quello che gli era accaduto. Aveva investito un ciclista.
La cosa non era grave, il ciclista non si era fatto poi tanto male ma il giovane autista ne era comunque scosso. Da quando era giovane ha sempre avuto la passione per la bicicletta. Diceva sempre –il ciclista è il vero sportivo, guadagna il giusto e in quella salita ci mette il cuore!
Quando guidava il suo autobus amava ascoltare la musica con le cuffie, la sua preferita era “Il Bandito e il Campione” di De Gregari che parlava delle prodezze del grande Costante Girardengo e del suo amico bandito Sante Pollastri e mentre ascoltava faceva quelle curve strette strette che fanno i ciclisti in tirata davanti al traguardo con la strada completamente sgombera. Nella sua mente, quel macigno di miliardi di tonnellate si trasformava una scintillante bicicletta.
Quella notte era l’ultima volta che faceva il turno notturno, stava guidando il suo 72N che tra le altre si fa tutto viale Trastevere. Aveva appena superato il ministero dell’istruzione che gli fece venire in mente due cose, la prima era il fratello omosessuale che ci faceva l’impiegato, la seconda era il padre che quando era ancora in vita gli diceva sempre di studiare altrimenti l’unica cosa che avrebbe potuto fare era l’autista. Cacciò via il pensiero sostituendolo con uno nuovo, di lui sulla sua bici in maglia rosa, quindi accelerò quel tantino per entrare nella scia. Ad un tratto davanti a se vide una figura in movimento, la strada era buia ma lui capì subito che fosse un ciclista. Non aveva i catarifrangenti e neanche i faretti ma aveva la tipica forma delicata di un gregario rimasto indietro. Lo superò sulla destra poiché il ciclista si era spostato improvvisamente sulla sinistra. Stretta stretta. Voleva guardarlo nello specchietto retrovisore mentre lo superava. Proprio in quello specchietto lo vide scomparire improvvisamente urtato dalla coda del bus. Troppo stretta.
Quella notte l’autista non riuscì a prendere sonno e fece gli incubi per quasi tutta la settimana per i sensi di colpa.

Il tipo
Quella sera tornò a casa sconvolto. Aveva passato la serata con tre amici. Dicevano di avere delle danesi per le mani. Le danesi fanno gola a molti e infatti non si presentarono. E così fecero loro: quella sera si fecero di (in ordine cronologico) 3 grammi di hashish, sei bottiglie da 66 di Beck’s (anche se lui voleva la Menabrea), altro hashish rimediato per strada, chicche che poi si rivelarono solo mentine e 1 e1/2 g di botta che però era piena di purgante per bambini, una bottiglia di Morellino di Scansano e una di pessimo Bourbon americano sottratte dal magazzino di un locale dove erano entrati per pisciare, poi si aggiunse uno che aveva dell’MDM sintetizzato nelle Filippine e terminarono annacquando il tutto con quattro Menabrea da 33.
Verso le quattro e qualcosa erano sulla strada di casa, lui non guidava anche se la macchina era la sua, stava accanto al conducente e smanettava con la radio, gli altri due erano sprofondati negli abissi posteriori. Non stavano andando veloci, la strada davanti a loro era ostruita dal 72N che occupava quasi tutta la corsia e nessuno se ne preoccupava.
Concentrati ognuno sulle proprie visioni chiusero gli occhi per un istante e il caso volle che li chiusero tutti all’unisono. E nello stesso preciso istante li riaprirono. In tempo solo per vedere un ciclista fare un atterraggio di emergenza (pur con qualche difficoltà). Si fermarono. Non tanto per portare soccorso quanto per curiosità. Aveva l’alito che sapeva di alcool e gli girava la testa per tutta la roba ingurgitata quella sera. Si limitò ad abbassare il finestrino e gridare al ciclista –hey! Sei vivo? L’amico al volante non aspettò neanche la risposta e ripartì con una rumorosa sgommata. Andarono a Fiumicino perché qualcuno quella sera gli aveva detto di certi asini che volavano e lui voleva vederli atterrare.
Tornato a casa il giorno dopo non riuscì a dormire e neanche la notte dopo. La quantità di sostanze varie ingerite lo tennero adrenalinico per giorni.

Il ciclista
Quella sera tornò a casa non tanto stravolto quanto rotto. Era giovane e spavaldo, nella guida (e così forse anche nella vita) era fulmineo e un tantino prepotente. Pieno di sé al punto che la sua insofferenza per le istituzioni lo portava a diffidare addirittura delle istruzioni di cottura delle zuppe pronte. Quando pedalava di notte, talvolta gli piaceva lasciare il manubrio e con le mani puntare a fare finta di sparare ai lampioni e ai semafori. Quella notte pedalando stava canticchiando:

E dietro alla curva del tempo che vola
c'è Sante in bicicletta e in mano ha una pistola
se di notte è inseguito spara e centra ogni fanale
Sante il bandito ha una mira eccezionale
e lo sanno le banche e lo sa la questura
Sante il bandito mette proprio paura
e non servono le taglie e non basta il coraggio
Sante il bandito ha troppo vantaggio.

La strada più corta per la casa gli imponeva una svolta a sinistra dopo una cinquantina di metri, si girò per controllare la via e vide incalzare dietro di lui, con il pettorale 72N un degno avversario. Il semaforo era a suo favore dopo il quale la svolta a sinistra. Quindi accelerò, quel tantino per entrare nella scia e sfruttare la forza centrifuga in curva. Quello lo supera sulla destra rombando. Improvvisamente si trovano uno di fianco all’altro e quello grosso acchiappa il piccolo gregario e con la forza di 600 cavalli lo scaraventa via.
Non era nuovo a cadute in bicicletta ma ebbe come l’impressione, mentre atterrava sull’asfalto, che quella volta l’avesse fatta troppo grossa. Gli furono chiari all’istante le vere sembianze e il peso reale del suo inseguitore. Anche il suo alito sapeva un tantino di alcool.

Ma un bravo poliziotto che sa fare il mio mestiere
sa che ogni uomo ha un vizio che lo farà cadere
e ti fece cadere la tua grande passione
di aspettare l'arrivo dell'amico campione
quel traguardo volante ti vide in manette
brillavano al sole come due biciclette
Sante Pollastri il tuo Giro è finito
e già si racconta che qualcuno ha tradito.

Quella notte non dormì perché non si sentiva più tanto spavaldo e la cosa gli bruciava, mentre il giorno dopo non dormì per i dolori al ginocchio.
Dopo due giorni la bicicletta gli venne rubata sotto casa, rimasta attaccata al palo.

Atac
L’ufficio legale dell’ATAC spa nega ogni responsabilità e compartecipazione in tale storia.